“Una punta di Sal”. La telefonata…

Redazione Prima Pagina Marsala
Redazione Prima Pagina Marsala
15 Novembre 2020 08:35
“Una punta di Sal”. La telefonata…

La telefonata che allunga la speranza. Finalmente è arrivata ma c’è voluta una “raccomandazione” degli Emirati Arabi per mettere in contatto i nostri 18 pescatori con le loro famiglie. Si è raccomandato a loro, agli Emirati,  il nostro ministro degli Esteri Luigi di Maio, che si è fermato due giorni a Dubai per convincere gli Emirati ad avere un contatto con il generale Haftar per rilasciare i 18 marittimi. Il tentativo, sembra, che sia stato fatto ma ci sarebbe stato un diniego da parte del generale ed allora “aprire magari”, avrebbe detto Di Maio, “una linea telefonica per assicurare alle famiglie che i loro cari stanno bene”.

E così è stato. Una telefonata allunga la speranza all’apertura di una trattativa per la liberazione dei 18 pescatori. Di Maio, al ritorno da Dubai,  ha incontrato i familiari dei pescatori a Roma e ha fatto organizzare dall'Unità di Crisi del Ministero una lunga telefonata degli 8 pescatori italiani con le famiglie (in foto copertina in presenza del presidente del Consiglio comunale Vito Gancitano la telefonata dei familiari con Giacomo Giacalone sequestrato a Bengasi). Come è noto, assieme agli 8 italiani ci sono anche 6 tunisini, 2 senegalesi e 2 indonesiani, ma  la Farnesina è riuscita a mettere in collegamento solo gli italiani.

Una fonte della Farnesina precisa che “il nostro Ministero si sta occupando di tutti i pescatori, perché tutti fanno parte degli equipaggi bloccati a Bengasi”. Durante le telefonate ci sono stati momenti di commozione: i pescatori e i loro parenti non si sentivano dal 16 settembre scorso. Da allora la milizia di Khalifa Haftar aveva interrotto ogni collegamento. “Questa lunga telefonata di 45 minuti, in cui ciascuno dei nostri pescatori ha potuto parlare, è stata un conforto importante per tutti noi”, ha detto Marco Marrone, armatore di uno dei due pescherecci sequestrati al largo di Bengasi.I parenti hanno anche incontrato direttamente per la seconda volta il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha spiegato di aver chiesto sostegno a molti partner dell'Italia influenti su Haftar, ma non è sceso nei dettagli della trattativa.

Alcune settimane fa c’era stato il tentativo di un’altra telefonata: “Un giorno, di sabato mattina, mentre eravamo a piazza San Pietro, abbiamo ricevuto una chiamata dalla Farnesina, in cui ci hanno convocati per fare una videochiamata con i pescatori in Libia”, racconta Marco Marrone, armatore del peschereccio “Medinea”. “Siamo andati lì, ma la chiamata non riusciva a partire perché, ci dicevano, c'erano problemi di connessione e poi dopo alcune ore ci hanno detto che non avrebbero tentato ulteriormente per difficoltà tecniche”.

Il punto cruciale rimane, comunque, il processo, di cui se ne parla pochissimo ed invece sembra fondamentale per conoscere come si dovrà procedere. I pescatori mazaresi fermati dalle autorità della Libia orientale lo scorso primo settembre saranno processati da un Tribunale militare di Bengasi. Lo ha detto ad “Agenzia Nova” il generale Mohamed al Wershafani dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), precisando che l’accusa è “di ingresso e pesca in acque libiche senza previa autorizzazione”.

Non figura, per ora, l'accusa relativa al sospetto traffico di sostanze stupefacenti che sarebbero state trovate e sequestrate dalle autorità libiche. “Il caso è passato dalla Guardia costiera dell'Lna alla Procura militare”  ha detto ancora Al Wershafani. In una intervista ad una televisione italiana di Mediaset, il portavoce del governo, generale Khaled al-Mahjoub ha aggiunto: “I marinai italiani sono stati sottoposti a normali procedure di legge, nei loro confronti non c'è stata e non c'è nessuna persecuzione.

Non siamo una milizia, noi siamo un'autorità e un esercito e li abbiamo consegnati alla Procura generale, competente per questo tipo di reato. È stata aperta un'indagine di polizia seguendo le procedure legali al fine di salvaguardare i loro diritti. Sarà dato un incarico a un avvocato per la loro difesa, questo nel caso in cui non ne verrà nominato uno da parte del loro Stato”. Ha aggiunto: “Riguardo alla droga, sono stati sequestrati dei materiali che dovranno essere analizzati dalle autorità competenti.

Spetta agli inquirenti verificarlo e prendere provvedimenti. I pescatori italiani saranno sottoposti a un procedimento da parte della Procura generale competente e saranno giudicati secondo la legge dello Stato libico”. Rispetto all'indiscrezione nella quale il generale Haftar avrebbe richiesto in cambio, per la liberazione dei pescatori italiani, uno scambio con quattro libici condannati in Italia, il portavoce ha risposto: “Non esiste nessuna dichiarazione ufficiale in tal senso, però possono esistere degli accordi riguardanti lo scambio tra detenuti o tra persone condannate.

Se poi in futuro verrà preso un provvedimento di rilascio in tal senso, questo non significa necessariamente che faccia parte di trattative diverse”. Infine, in merito alla presunta trattativa tra Italia e l'autoproclamato Stato libico per il rilascio dei pescatori italiani, Al-Mahjoub ha precisato: “Sono in corso certamente dei contatti. Il Governo italiano ha contattato il nostro comando generale, sicuramente abbiamo discusso della questione. Ci sono delle procedure che devono fare il loro corso.

Si tratta di questioni legali, quindi è difficile che si risolva in pochi giorni. Pensiamo che la questione andrà avanti, c'è un percorso di giustizia da seguire”. La vicenda dei 18 di Mazara, trattenuti nella Libia orientale, controllata da Khalifa Aftar, evidenzia, comunque,  quanto sia essenziale il ruolo del generale. Sul campo e fuori. Dato per finito per un presunto abbandono dei suoi alleati egiziani, russi e degli Emirati apparentemente in retromarcia dopo le battute d’arresto del suo esercito, è invece sempre più “centrale”.

L’Italia cerca di muoversi in questo ginepraio dei Paesi africani e della Libia in particolare. Almeno per provare a riportare a casa i 18 di Mazara. Il sottosegretario agli Esteri, il palermitano Manlio Di Stefano parla in modo sibillino di “partita più complessa rispetto al passato”. Come se qualcosa fosse cambiato rispetto a qualche mese fa, contatti “dell’intelligence e anche dai Paesi limitrofi che stanno aiutando con le loro influenze sulle milizie locali”. Comunque la si pensi, qualunque strada si scelga, il generale resta un uomo con cui fare i conti.

Nel bene o nel male. Salvatore Giacalone  

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