Appalti truccati, l'ombra di Cuffaro sulla Protezione civile: “Gli avete dato i soldi, picciotti!”

Redazione Prima Pagina Marsala

Non solo sanità. L’ampio raggio degli interessi che la Procura di Palermo ritiene ruotino attorno all'ex governatore Totò Cuffaro si sarebbe allargato fino a inglobare anche il settore della Protezione Civile Regionale. È quanto emerge dall’atto con cui i Pubblici Ministeri hanno chiesto l’arresto, ai domiciliari, dell'ex presidente e di altre figure, parlando di un "opaco intreccio di interessi" tra lo stesso Cuffaro e il gruppo imprenditoriale edile dei Capizzi di Bronte. Al centro dell'accusa, riportata nell'atto con cui la Procura di Palermo chiede l'arresto, vi è l'ipotesi che l'ex governatore abbia svolto un'intermediazione per gli imprenditori Capizzi, mirata ad 'avvicinare' il capo della Protezione Civile, Salvo Cocina (che al momento non risulta indagato), e "verosimilmente versargli somme di denaro in vista delle lucrose gare pubbliche indette dall’ente pubblico da lui gestite".

Il quadro che emerge dalle intercettazioni appare subito pesante. L'8 gennaio 2024, a casa di Cuffaro a Palermo, l'imprenditore Giuseppe Capizzi (classe '91) si lamenta, introducendo l'argomento con parole forti: «Ma ma noi altri… dobbiamo mettere sotto quella testa di m... di Cocina». Il dialogo con l'ex governatore prosegue e subito si entra nel vivo della presunta trattativa, con Cuffaro che incalza: «Ma... te l’ha fatta quella cosa o no?», ottenendo una risposta negativa dall'imprenditore. L'irritazione di Cuffaro per quella che a suo dire sarebbe un’inadempienza da parte del dirigente, nonostante una presunta "dazione di denaro", esplode in una frase che per i pubblici ministeri rappresenta un punto cruciale dell'impianto accusatorio: «Ma gli avete dato i soldi, picciotti!».

Secondo i PM, il riferimento all’inadempienza di Cocina e alla dazione di denaro si legherebbe, senza ombra di dubbio, a una specifica procedura di gara. Un sospetto rafforzato dal fatto che, non molto tempo prima, i due interlocutori avevano già evocato il nome del dirigente regionale nell'ambito di una conversazione in cui si discuteva di offerte, controfferte, lotti di gara e interlocuzioni con un non meglio precisato "direttore", poi identificato proprio con il vertice della Protezione Civile siciliana.

L'ex governatore, annotano i pubblici ministeri nella richiesta di arresto, "si mostrava particolarmente irritato per l’inadempienza di Cocina" e preannunciava l'intenzione di volerlo contattare in prima persona per lamentare il mancato rispetto di pattuizioni evidentemente connesse al denaro che sarebbe stato elargito. In una successiva intercettazione, infatti, Cuffaro chiama Cocina e fissa un appuntamento. Subito dopo, però, contatta Capizzi e lo rimprovera per non aver seguito i suoi suggerimenti, ovvero quello di aspettare prima di versare il denaro in quella che era definita una "non meglio specificata vicenda nella quale sarebbe risultato coinvolto il pubblico ufficiale". Le parole dell'ex presidente in quella circostanza sono ancora più eloquenti: «Ma scusa quando dicevo non glieli dare… minchia… io ti dicevo di non dare ah…io… perché conoscevo…perché a… i cioccolati quando sono buoni, uno se li deve mangiare non che li deve dare…».

L’inchiesta palermitana, guidata dal Procuratore Maurizio de Lucia, pur viaggiando su un binario investigativo separato rispetto a quella agrigentina denominata "appalti e mazzette", trova diversi "punti di contatto" con quest’ultima. Entrambe le Procure ipotizzano l’esistenza di un vero e proprio "sistema" in grado di pilotare appalti e nomine attraverso la corruzione. E i Capizzi ne sono un elemento chiave: il Giuseppe Capizzi coinvolto nell'indagine palermitana (classe '91) è cugino omonimo di Giuseppe Capizzi (classe '87), sindaco di Maletto e figura centrale nell’inchiesta di Agrigento. Un’azienda del gruppo, in cui i due Capizzi ricoprono ruoli di vertice, ha vinto un appalto da quaranta milioni di euro per il rifacimento della rete idrica di Agrigento, gara che per gli inquirenti sarebbe stata in qualche modo "pilotata".

A rafforzare i collegamenti tra le due indagini è anche il nome dell'imprenditore edile Alessandro Vetro, anch'egli indagato in entrambe le inchieste per corruzione. Se nell'indagine di Agrigento è coinvolto in vicende relative all’appalto dello stadio "Dino Liotta" di Licata, in quella palermitana Vetro avrebbe consegnato, secondo l'accusa, una mazzetta di 25mila euro a Cuffaro, affinché la recapitasse al direttore del Consorzio di Bonifica, Tomasino. Lo scopo? Orientare, mediante collusione e accordi occulti, l'esito di futuri appalti che sarebbero stati gestiti dal Direttore.