Li definirono "furbetti dell'Antimafia": al processo la verità dell'avv. Gandolfo

Redazione Prima Pagina Marsala

Un’intervista ottenuta con l’inganno, un montaggio serrato di appena 6-7 minuti a fronte di 45 minuti di colloquio e una gogna mediatica alimentata da un balletto sulle note di "Soldi" di Mahmood. È questo il cuore della deposizione dell’avvocato Giuseppe Gandolfo, sentito ieri, 17 dicembre, al Tribunale di Marsala davanti al giudice Francesco Parrinello e al Pubblico Ministero Anna Alagna.

Il legale è la parte offesa nel processo per diffamazione aggravata che vede sul banco degli imputati i giornalisti de Le Iene Filippo Roma, Giulio La Monica, il giornalista del territorio trapanese Giacomo Di Girolamo, e Laura Agata Pulizzi.

Secondo quanto ricostruito da Gandolfo in aula, la vicenda ebbe inizio nel febbraio 2019, quando fu contattato da Pulizzi per un’intervista sulla cultura della legalità. L'appuntamento era fissato in Piazza della Repubblica a Marsala, ma al posto della donna si presentò Filippo Roma de Le Iene, armato di telecamere e microfono.

L’intervista, durata circa 45 minuti, sarebbe stata un serrato interrogatorio volto a mettere in difficoltà il legale sulla gestione dei bilanci dell’associazione antiracket e antimafia La verità vive. Alle richieste di prove documentali immediate, Gandolfo ha precisato in aula di aver risposto che non poteva esibirle seduta stante, ma che lo avrebbe fatto in seguito.

Uno dei punti centrali della querela riguarda il trattamento riservato alle dichiarazioni del legale. Gandolfo ha riferito di aver esplicitamente chiesto a Filippo Roma di non tagliare il servizio e di aver successivamente inviato una PEC a Italia 1 per ottenere la copia integrale del girato, senza mai ricevere risposta.

Il 28 aprile 2019 andò in onda il servizio dal titolo I furbetti dell’antimafia: oltre 40 minuti di servizio in cui lo spazio concesso alla replica di Gandolfo (nel servizio montato di circa 6-7 minuti) fu di appena 70 secondi. In quell'occasione, il legale veniva introdotto come uno degli avvocati che, per presunte difficoltà economiche, cercherebbero di costituirsi parte civile nei processi di mafia per ottenere risarcimenti. A rendere il quadro più pesante, un montaggio che lo ridicolizzava con un balletto sulle note della canzone "Soldi" di Mahmood.

L'impatto del servizio televisivo sulla vita di Gandolfo è stato descritto in aula come un evento devastante, capace di generare un isolamento sociale tale che molti conoscenti avevano smesso persino di salutarlo. Sul piano professionale, il legale ha riferito di aver subito numerose revoche di incarichi e di essere stato di fatto escluso dalla frequenza di un master di secondo livello a causa del clamore mediatico. A queste conseguenze si sono aggiunti profondi danni psicologici, culminati in frequenti incubi notturni, mentre la sua reputazione veniva travolta da una condivisione virale sui social network e su testate locali, con commenti d'odio così pesanti da costringerlo a presentare ben dodici querele.Di uno di questi procedimenti culminato con una condanna, ne avevamo parlato qui in calce all'articolo:

https://www.primapaginamarsala.it/li-definirono-fu...

Gandolfo ha tenuto a precisare la natura del suo impegno: coordinatore in provincia di Trapani dell'Associazione Libera e vittima di gravi intimidazioni in passato (un incendio doloso alla casa di campagna nell'aprile del 2005 che causò 38.000 euro di danni; l’incendio fu di chiara matrice dolosa, grazie ed alcune impronte digitali venne individuato l’autore, un pregiudicato). Ha chiarito di non aver mai ricoperto incarichi amministrativi nell'associazione La verità vive e che i compensi derivavano da mandati ad hoc per i processi, come il Processo Emilia, dove su 50 richieste di parte civile solo 20 (tra cui la sua) furono ammesse.

Un punto di particolare attrito emerso durante l'udienza riguarda la figura di Giacomo Di Girolamo. Gandolfo ha ricordato con amarezza che il giornalista, il quale nel servizio definiva l'associazione come un ente che "non fa nulla" e "non difende alcun commerciante", era stato in realtà tra i soci fondatori della stessa associazione, facendone parte dal 2003 al 2011.Un legame pregresso che rende ancora più duro lo scontro odierno: la persona offesa ha infatti sottolineato come, già negli anni precedenti al servizio de "Le Iene", Di Girolamo lo avesse ripetutamente attaccato attraverso i propri canali. Gandolfo ha rimarcato davanti al giudice come quegli attacchi fossero avvenuti sistematicamente senza alcuna possibilità di un confronto alla pari o di un reale contraddittorio, precludendogli di fatto la facoltà di difendersi dalle accuse mosse dal suo ex socio prima che la vicenda approdasse sulla ribalta nazionale.

Gandolfo chiarisce che l'associazione non chiede soldi pubblici, ma solo risarcimenti dai mafiosi, al fine di diffondere la cultura della legalità con sensibilizzazioni mirate

Il processo dovrà ora stabilire se il servizio de Le Iene abbia travalicato i confini del diritto di cronaca, sfociando nella diffamazione, o se l'inchiesta rappresenti una legittima denuncia giornalistica. Tra le parti civili costituite, oltre a Gandolfo, figurano l’Associazione La verità vive e l'ex parlamentare Piera Aiello.