Ricorre oggi, 21 ottobre, l'anniversario di uno degli episodi più drammatici e irrisolti della storia italiana: la scomparsa, nell'autunno del 1971, di tre bambine a Marsala. Il nome di questa città siciliana è legato in modo indissolubile a quella pagina oscura della cronaca nera che la stampa etichettò come il crimine del "Mostro di Marsala". La tragica vicenda segnò la nazione con un'ondata di orrore, trasformandosi in un simbolo della violenza più efferata e lasciando dietro di sé un complesso labirinto giudiziario mai completamente dipanato.La tragedia ebbe inizio nel primo pomeriggio del 21 ottobre 1971, quando tre piccole residenti del quartiere popolare Amabilina - Antonella Valenti (9 anni) e le sorelle Ninfa (7 anni) e Virginia Marchese (9 anni) - svanirono dopo aver accompagnato una cuginetta a scuola.
L'allarme, dato in serata dai familiari (i genitori di Antonella erano emigrati in Germania per lavoro), diede il via a una mobilitazione massiccia, ma le indagini furono criticate per un "ritardo eccessivo" nell'attivazione delle forze dell'ordine, un fatto che si temette fin da subito avesse compromesso le prime ricerche. Sotto il coordinamento del giudice Cesare Terranova, Procuratore di Marsala, fu subito esclusa l'ipotesi del sequestro a scopo di estorsione, data la povertà delle famiglie.
Cinque giorni dopo, il 26 ottobre, il corpo senza vita di Antonella Valenti fu rinvenuto in una scuola rurale abbandonata. La bambina era stata seviziata, strangolata e parzialmente bruciata. Il ritrovamento cruciale fu quello di un nastro adesivo da imballaggio utilizzato per legarla e soffocarla, un indizio che condusse rapidamente verso l'azienda cartotecnica di San Giovanni e, per una tragica coincidenza, verso Michele Vinci, lo zio di Antonella che lì lavorava come corriere.
Messo alle strette dagli inquirenti, Vinci crollò e confessò. La sua confessione portò, nella notte tra il 9 e il 10 novembre, al macabro ritrovamento dei corpi di Ninfa e Virginia Marchese: le sorelline furono trovate abbracciate sul fondo di una cisterna in un podere, morte per stenti e asfissia.Michele Vinci fu condannato in Cassazione nel 1979 come unico responsabile del triplice omicidio. Il caso fu però fin da subito avvolto da dubbi sul movente e sulla presenza di complici, un'ipotesi rafforzata dagli stessi atti giudiziari.Durante il dibattimento in aula, Vinci gridò il nome del presunto mandante, il Professor Franco Nania, legando il rapimento a una faida e a un complotto: l'azione sarebbe servita a punire il padre di Antonella per uno "sgarro" legato al fallito sequestro di un parlamentare democristiano, in un contesto di tensioni mafiose.L'istruttoria del giudice Russo aveva stabilito che Vinci era sano di mente e non aveva agito per impulsi sessuali, concludendo che fosse stato l'esecutore di un "piano diabolico" forse per costrizione.
Nonostante ciò, la sua pena (inizialmente l'ergastolo) fu ridotta a 30 anni per il riconoscimento di un parziale vizio di mente, rendendo l'esito processuale ambiguo.
Le ombre sul caso non si dissolsero mai. L'inchiesta si interruppe su alcuni interrogativi inquietanti, tra cui il ruolo dei primi indiziati (come l'uomo della Fiat 500) e il sospetto di connivenze. A rafforzare la tesi del complotto ci furono anche alcune morti sospette di persone legate alla vicenda: il sedicente automobilista della 500, Giuseppe Li Mandri, morì misteriosamente cadendo da un tetto, e un giovane imparentato con il proprietario della cava dove fu tenuta prigioniera Antonella, Ignazio Guarrato, morì precipitando in un pozzo.
Nel 1989, le rivelazioni di Vinci a una trasmissione televisiva, in cui ribadiva di non essere l'assassino, spinsero il giudice Paolo Borsellino, successore di Terranova come Procuratore a Marsala, a riaprire il caso. Nonostante l'impegno di Borsellino nel tentare di dare risposte definitive, la mancanza di prove aggiuntive portò a una nuova chiusura. A cinquant'anni di distanza, il dramma di Antonella, Ninfa e Virginia e il sospetto che Vinci fosse solo una pedina restano una ferita aperta nella storia siciliana.