I peggiori anni della nostra vita…Matteo Messina Denaro fra stragi, iconografia ed “affari di Stato”.

Redazione Prima Pagina Marsala
Redazione Prima Pagina Marsala
25 Gennaio 2016 15:53
I peggiori anni della nostra vita…Matteo Messina Denaro fra stragi, iconografia ed “affari di Stato”.

Cronaca tinta di “folklore”, notifiche giudiziarie ed iconografia, domande e risentimento, vi è stato tutto questo nel corso della visita, nel pomeriggio di venerdì scorso, nella casa di Castelvetrano di una delle sorelle del boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro.

Il fine degli uomini della Dia di Caltanissetta era quello di notificare una nuova ordinanza di custodia cautelare al boss latitante dal 1993 in quanto ritenuto uno dei mandanti delle stragi che uccisero Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ed altri servitori dello Stato.

Nel corso della successiva conferenza stampa, avvenuta nella mattina del 23 gennaio, al Tribunale di Caltanissetta con i vertici della distrettuale Antimafia, della Dna e della Dia, sono emersi dei particolari inquietanti sulla visita a casa della sorella di “diabolik”, Bice Messina Denaro (sposata con Filippo Guttadauro, questi in carcere insieme al figlio sempre per associazione di mafiosa).

In quella casa, ad angolo fra via Alberto Mario (al n.5 la storica abitazione del boss) e la via XX Settembre, gli agenti hanno fatto delle scoperte che potrebbero ancora avvalorare l’ipotesi che Matteo Messina Denaro si trovi nel “suo” territorio.

A rompere la flemma della donna, probabilmente abituata a tali visite, è stata la frase pronunciata da uno degli agenti: “Lo sappiamo che qui non troveremo suo fratello, ma se lei volesse dirci dov’è…” Una frase giudicata offensiva dalla sorella del boss che per qualche minuto avrebbe perso la calma rispondendo risentita, poi ha riacquistato la sua freddezza assistendo alla visita degli agenti.

Una visita “rivelatrice” (sarebbe uan conferma) non del nascondiglio del boss, oggi 53enne, ma del culto legato alla sua persona. Infatti in ogni stanza di quella casa aleggiava la presenza del fratello Matteo attraverso dei quadri, anche di grosse dimensioni che lo ritraevano in vecchie foto di famiglia ma anche in un immagine pop-art (vedi foto) con una corona in testa, a significare probabilmente che il “re” è sempre lui ed il suo potere è intatto.

In molti hanno ritenuto scontato il fatto che Matteo Messina Denaro fosse considerato uno dei “protagonisti” dei grandi attentati del ’93 ma la Procura Antimafia ha voluto “ufficializzare” la sua partecipazione come mandante, alla stregua del “Capo dei capi” Totò Riina (lo stesso avrebbe confessato di aver preso a cuore l’allora giovane castelvetranese figlio del vecchio e malato boss Don Ciccio). Una presa d’atto che certamente potrebbe servire più alla storicizzazione dei tragici eventi che alla soluzione del mistero sul nascondiglio di “diabolik”.

Ma ad alimentare i misteri legati a quella che è definita la “stagione delle stragi” vi sarebbe una relazione dell’ex capo della Polizia Vincenzo Parisi, che risale al 1988, consegnata ai partecipanti di una riunione interna e riservata svoltasi al Viminale, di cui si sa poco o niente. La relazione offrirebbe uno sguardo inedito sui terribili crimini politici degli anni Ottanta ed una chiave di lettura su ciò che sarebbe accaduto da lì a qualche anno.

La relazione indurrebbe a domandarsi chi vi fosse a livello politico fra i mandanti di quelle stragi che insanguinarono le strade siciliane ed anche quelle di Firenze; Milano e Roma; quali i rapporti con la P2 di Licio Gelli? E con i servizi segreti? Quali burattinai tiravano le fila di quelle efferate gesta? Chissà forse un sistema cerchi concentrici (vedi foto n.2) con diversi livelli di competenza e con un'alta capacità osmotica “top-down”: sta proprio in questa struttura “impermeabile” la ragione dell’impenetrabilità relativa al comando supremo delle stragi? In altre parole chi sta nel cerchio esterno non sapeva, e non sa, chi dirigeva dai cerchi interni avvolti sempre più dalla nebbia.

Parisi parlò chiaramente di mandanti “schermati da cortine protettive” che impedivano di risalire lungo la strada delle attribuzioni degli incarichi dall’uomo di paglia al cervello della organizzazione.

E chissà che l’interesse ultimo, cioè di quelli “invisibili”, all’ultimo anello della struttura, non fosse l’alimentazione di una strategia della tensione? Ed anche che il paventato rischio della messa in pericolo della struttura “democratica” del Paese si potesse arginare con decisioni politiche anche impopolari o perfino autoritarie? Così si spiegherebbero depistaggi e la cosiddetta trattativa Stato-Mafia che ha chiamato in causa anche attuali protagonisti della politica nazionale. Perché non sono stati utilizzati al meglio alcuni canali informativi “privilegiati”? Vedi ad esempio la possibilità di ascoltare fino in fondo Bettino Craxi anziché “garantirgli” l’occasione per un esilio dorato ad Hammamet fino alla sua morte.

E come si spiega la cattura, un anno dopo le stragi, di Totò Riina? Un’azione funzionale per dare in pasto all’opinione pubblica ed ai media un capro espiatorio? Le stesse ragioni potrebbero essere state utilizzate nella “scoperta” di Provenzano e di altri capi di Cosa Nostra. Succederà lo stesso per Matteo Messina Denaro? Davvero non si riesce a braccarlo? Lo Stato ha posto gli uomini ed i mezzi necessari per arrestarne la latitanza? Sarà arrestato al momento giusto, cioè quando servirà e forse, appunto, al momento la sua latitanza risulta "funzionale" al potere, quello vero e che non si vede, per distogliere l'attenzione dalle grandi manovre politico-economiche che stanno, pian piano, cambiando il volto del “Bel Paese”?

Francesco Mezzapelle

25-01-2016 16,45

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