Pescatori sequestrati a Bengasi, il “gioco sporco” dei libici e le promesse del Governo Italiano. Familiari e armatori a Roma

Redazione Prima Pagina Marsala
Redazione Prima Pagina Marsala
21 Settembre 2020 08:48
Pescatori sequestrati a Bengasi, il “gioco sporco” dei libici e le promesse del Governo Italiano. Familiari e armatori a Roma

Sono trascorsi più di 20 giorni ed ancora diciotto marittimi e due motopesca della marineria di Mazara del Vallo, “Antartide” e “Medinea” si trovano in stato di fermo, bloccati, sequestrati, a Bengasi, la capitale di quella parte della Libia denominata Cirenaica dove comanda il generale Khalifa Haftar a capo dell’Esercito Nazionale Libico (Lna). Negli ultimi giorni la situazione è sembrata complicarsi. Dal Governo italiano infatti non emergono novità in merito alla vicenda che viene tenuta sotto un basso profilo.

Eppure vero però che in altre circostanze, in altri Paesi, anch’essi “difficili” la voce del Governo, quando si è trattato di riportare connazionali a casa, è stata più forte. Sul posto, come trapelato nei giorni scorsi, sarebbe operativo il servizio di intelligence; nel frattempo lo stesso Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che aveva promesso ai familiari e armatori di riportare a casa i pescatori e pescherecci (senza sbilanciarsi sui tempi) avrebbe avviato un’interlocuzione con i suoi corrispettivi di Russia ed Emirati, Paesi molto vicini allo stesso generale Haftar, per tentare una mediazione.

Dalla parte libica sarebbe iniziato un prevedibile “gioco al rialzo”, con accuse e smentite, per tenere alta la tensione. Pian piano con il passare dei giorni si assiste ad un “gioco sporco”, e sembra di assistere ad un film già visto in questi anni; cambiano i protagonisti, ma il “modus operandi” sembra lo stesso di quando a guidare la Libia, allora unita, era il colonnello Muammar Gheddafi che da presunto sostenitore del terrorismo si trasformo in pochi anni in azionista e socio di forti gruppi economici italiani che operavano dalla Tripolitania alla Cirenaica.

“Ci accusano che hanno trovato droga a bordo”. Lo ha riferito in una telefonata il Pietro Marrone, uno dei diciotto pescatori bloccati in Libia assieme ai due pescherecci “Antartide” e “Medinea” (del quale Marrone è comandante) sequestrati la sera del primo settembre a circa 35 miglia da Bengasi. La contestazione risalirebbe ad alcuni giorni fa ma è stata comunicata ai familiari e agli armatori durante una conversazione telefonica in viva voce, a margine di una diretta televisiva.

“E' chiaro che vogliono alzare l’asticella”, dice nella stessa conversazione l’armatore del Medinea, Marco Marrone. Nessuna conferma da parte della Farnesina, che assieme all’intelligence sarebbe impegnata nelle difficili trattative per il rilascio dei diciotto marittimi che al momento si trovano nel carcere di El Kuefia, a 15 km a sud est da Bengasi. I due motopesca mazaresi si trovano invece ormeggiati nel porto di Bengasi, sono rimasti incustoditi fin dal mattino del 2 settembre, in pratica dal loro arrivo in porto; ciò pertanto alimenta il sospetto da più parti che i libici vogliano “incastrare” i marittimi facendo credere di aver ritrovato dei panetti di droga, non specificata la sostanza, a seguito di ulteriori controlli sui motopesca.

Non si può escludere che i militari bengasini intendano alzare il “prezzo” della questione in modo da proporre ufficialmente di scambiare il rilascio dei marittimi e dei due motopesca con quello dei quattro libici, condannati a 30 anni dal Tribunale di Catania e detenuti in Italia, accusati di essere tra gli scafisti della cosiddetta “strage di ferragosto”, nel 2015, in cui morirono 49 migranti; in Libia i quattro invece sono conosciuti come calciatori e lunedì scorso i loro familiari hanno manifestato proprio a Bengasi per chiedere di bloccare la liberazione dei pescatori al fine di ottenere l’estradizione dei quattro.

Il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha però ribadito più volte negli ultimi giorni “non accettiamo ricatti sui nostri connazionali”. Attraverso un’altra agenzia invece viene smentita indirettamente sia l’ipotesi di uno scambio di prigionieri che le nuove accuse mosse ai pescatori. Un alto ufficiale delle forze del generale Khalifa Haftar, parlando dei componenti dell’equipaggio dei due pescherecci italiani bloccati in Libia, avrebbe infatti dichiarato che nei loro confronti finora è stata mossa solo l’accusa di sconfinamento in acque libiche e “qualsiasi altra” ipotesi non è confermata e sarà eventualmente annunciata dalla Procura.

Come riporta il sito Libyan Address, a dichiararlo alla stampa è il “comandante per la guida morale” dell’Esercito nazionale libico, il generale maggiore Khaled Al-Mahjoub. L’ufficiale “ha dichiarato che i pescatori italiani detenuti a Bengasi sono al momento sotto indagine da parte dell’Ufficio della Procura. Al-Mahjoub ha detto –si legge sullo stesso sito- che la principale accusa ai pescatori è l'essere entrati in acque economiche libiche senza preventivo permesso”. Nel frattempo ieri pomeriggio una delegazione mazarese formata da armatori e familiari dei marittimi sequestrati, attraverso una missione organizzata dal presidente di Agripesca Sicilia, Toni Scilla, ha preso la nave da Palermo (in foto copertina mentre lasciavano il porto di Palermo) per recarsi a Roma per chiedere, a partire da stamattina, a Palazzo Chigi l’impegno massimo per la soluzione della vicenda.

Sono pronti a tutto hanno fatto sapere, anche ad intraprendere uno sciopero della fame davanti il palazzo del Governo, qualora non ricevessero risposte concrete relative al rilascio dei pescatori e dei motopesca. Francesco Mezzapelle

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