Processo per prostituzione in una casa a Mazara, assolti Calafato, Di Giorgi e Maiale

Redazione Prima Pagina Marsala
Redazione Prima Pagina Marsala
18 Aprile 2016 14:51
Processo per prostituzione in una casa a Mazara, assolti Calafato, Di Giorgi e Maiale

Questa mattina presso il Tribunale di Marsala, il giudice Sergio Gulotta ha emesso la sentenza in merito al processo relativo all’accusa di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione un appartamento di via Tenente Gaspare Romano, nel centro storico di Mazara del Vallo. Sono stati assolti i tre imputati e cioè Vincenzo Calafato, Leonardo Di Giorgi e Francesco Maiale, rispettivamente difesi dai legali Mariella Martinciglio, Stefano Pellegrino e Simone Bonanno.

Ricordiamo che il Pubblico Ministero la dott.ssa Antonella Trainito aveva chiesto l’assoluzione per Calafato e Maiale mentre lo stesso pm aveva chiesto la condanna, a 3 anni e mezzo di carcere, per un vigile urbano, Leonardo Di Giorgi, quest'ultimo accusato di aver avuto un rapporto sessuale con la prostituta sudamericana, ma di non averla pagata. (In foto 2 l'appartamento di via Tenente Gaspare Romano dove sarebbe avvenuto il giro di prostituzione).

Maiale e Di Giorgi sono stati assolti perché il fatto non sussiste, mentre Calafato con la motivazione che il fatto per il quale accusato non costituisse reato. La dott.ssa Trainito aveva chiesto l’assoluzione dell’ex assessore comunale Calafato dall’accusa di aver consapevolmente affittato un suo appartamento nel centro di Mazara al pregiudicato Vittorio Misuraca affinché alcune donne sudamericane vi si prostituissero. “Non ci sono prove –aveva detto il pm- che Calafato fosse a conoscenza che nell’abitazione data in locazione a Misuraca si esercitasse la prostituzione, anche se è verosimile che sapesse. E non c’è prova che il canone d’affitto fosse esageratamente alto tale da ipotizzare lo sfruttamento”.

Nel corso di udienze precedenti Calafato avrebbe voluto rendere dichiarazioni spontanee in aula, ma dopo aver ascoltato il rappresentante dell’accusa invocare l’assoluzione ha desistito. Che nel suo appartamento si esercitasse la prostituzione è stato accertato. Ad aver patteggiato la condanna per sfruttamento e favoreggiamento era stato invece un altro mazarese, Vittorio Misuraca. Nel corso del processo, la colombiana Sandra Patricia Bossa Valdes, rintracciata dall’avvocato difensore Mariella Martinciglio, aveva confermato in aula che si prostituiva. E come lei, per alcuni periodi, anche la sorella e un’amica. La Bossa Valdes aveva difeso Calafato. “Calafato – ha detto la donna - l’ho visto solo due volte. Vittorio mi presentò come la sua ragazza e mi diceva che io non dovevo parlare con Calafato, che non doveva sapere che lavoravo come prostituta”.

Anche Misuraca, in Tribunale, ha detto che Calafato non sapeva nulla di quello che accadeva nel suo appartamento. A gestire il giro di “squillo” sarebbe stato proprio Misuraca, che in Tribunale ha, quindi, scagionato Calafato. “Quando lo seppe – ha detto Misuraca – Calafato mi cacciò. Io gli avevo detto che l’appartamento mi serviva per adibirlo a ufficio”.

L’indagine, svolta dai Carabinieri, nel 2013 scattò a seguito di una segnalazione anonima, secondo la quale il giro di squillo sarebbe stato composto “da tre brasiliane, delle quali due sono in servizio a turno, con tariffe base di 50 e 100 euro”. Il maggior “via vai” sarebbe stato nella “pausa pranzo”.

Molti clienti, comunque, contattavano le prostitute attraverso i numeri di telefono riportati in annunci pubblicati su siti internet e giornali. Nel corso della telefonata veniva concordata la prestazione ed il prezzo. L’attività d’indagine, durata per diversi mesi, ha consentito di accertare un giro d’affari elevato con una clientela eterogenea proveniente da tutta la provincia.

Particolare curioso: a far capire a chi era fuori che le ragazze erano in casa e disponibili agli incontri era un cappello di paglia poggiato sul davanzale della finestra dell'appartamento (vedi foto n.1). Se non c’era, era inutile suonare il campanello.

Della ‘casa chiusa’ sempre secondo la fonte, alcuni organi di polizia sarebbero stati a conoscenza, ma sarebbe mancato fino a quel momento fa l’elemento del reato: lo sfruttamento della prostituzione. L’attività sarebbe stata in passato “gestita da un indigeno con italiane – continuava la segnalazione – ora si è ingrandita ed è pieno di giovani”. Il sabato, in particolar modo, e nei feriali all’ora di pranzo era possibile notare numerosi movimenti attorno all’abitazione”. Ai primi di novembre 2013, dopo una serie di intercettazioni, pedinamenti e appostamenti, scattò l’operazione dei carabinieri di Mazara sfociata nel processo.

Appresa la sentenza di assoluzione, abbiamo contattato Enzo Calafato (in foto n.3) il quale ancor amareggiato per quanto accaduto ha così dichiarato: “non avevo dubbi sulla mia estraneità ai fatti. Ho creduto sempre, e credo ancora, che la giustizia prima o poi arrivi, ciò lo dimostra questa sentenza ed altre relative a processi dove sono stato imputato, sempre poi assolto. Questo processo nei miei confronti, come ho sempre sostenuto, non doveva nemmeno iniziare perché mancavano i presupposti; ha avuto luogo a causa della maniacale ricerca di un colpevole e per giustificare la mole di lavoro svolta attraverso le indagini degli organi investigativi con grande dispendio di denaro pubblico”.

Enzo Calafato nei giorni scorsi aveva partecipato ad un incontro organizzato al Cine Rivoli a seguito della proiezione del docufilm “Enzo Tortora, una ferita italiana”. In quell’occasione Calafato era stato invitato da uno degli organizzatori, Antonello Nicosia (Direttore del Centro Studi Pedagogicamente), a collaborare con la sua associazione ed a raccontare le sue vicende giudiziarie agli studenti di Giurisprudenza.

Francesco Mezzapelle

18-04-2016 16,30

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