Si è celebrata ieri, 29 ottobre, un'udienza delicata e complessa presso il Tribunale di Marsala, davanti al Collegio presieduto dal Presidente Chiara Vicini. Al centro del dibattimento, l'accusa di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravati, a seguito della denuncia presentata dalla moglie dell'imputato, che si è costituita parte civile insieme alla figlia, assistite dall'avvocato Lidia Seidita.
L'imputato, residente a Marsala, era chiamato a rispondere di una condotta reiterata di violenza fisica e psicologica nei confronti dei familiari, protrattasi dall'aprile al settembre 2022.
Le vessazioni sarebbero iniziate dopo che la moglie aveva scoperto il tradimento del marito. In precedenza, il rapporto non era descritto come conflittuale. Le condotte denunciate includono minacce di morte, atti di rabbia, e sottomissione economica ai danni della moglie, che non avendo mai lavorato, dipendeva interamente dal marito.
L'imputato avrebbe inoltre esercitato una forte prevaricazione e sudditanza, arrivando a dire alla moglie frasi come devi cucinare, ti mantengo e posso avere tutte le amanti che voglio. Se non fate quello che dico io vi finisce male, vi ammazzo, vi do fuoco dentro la casa con voi dentro. Verso la figlia, la minaccia era il "ripudio" e l'allontanamento in una casa famiglia. La violenza fisica è stata comprovata da referti che attestano lesioni, un trauma cranico ed ematomi subiti dalla moglie. Testimoni, inclusi vicini di casa e agenti di Polizia, sono stati escussi in aula per aver assistito e in alcuni casi essere intervenuti durante gli episodi.
La causa della permanenza forzata in famiglia, secondo quanto emerso, era la riluttanza dell'uomo a separarsi per non perdere la casa, e il suo tentativo di ottenere una separazione consensuale per evitare il mantenimento.
Nella sua requisitoria, il Pubblico Ministero Stefania Tredici ha espresso il convincimento che il reato di maltrattamenti in famiglia non sussistesse. Pur riconoscendo le lesioni (trauma cranico, lesioni al braccio, schiaffi), il PM ha ritenuto che la violenza non fosse abituale e, in assenza di un "dolo generico", mancasse la consapevolezza da parte dell'imputato di compiere un'azione abitualmente maltrattante.
Di tutt'altro avviso l'avvocato Lidia Seidita, legale delle parti civili costituite. Ha sottolineato come la violenza fosse "subdola, pervasiva, che lede la dignità umana". L'avv. Seidita ha richiamato la giurisprudenza della Cassazione, sostenendo che la condotta va considerata abituale e che il reato sussiste anche in presenza di un rapporto conflittuale, e ha evidenziato l'aggravante della violenza subìta sia in modo diretto che indiretto, poiché i figli minori hanno assistito agli atti di violenza sulla madre. Per tali ragioni, l'avv. Seidita ha chiesto la condanna dell'imputato e una provvisionale di 50.000 euro per le umiliazioni e vessazioni subite.
L'avvocato Vincenzo Salvo, difensore dell'imputato, ha invece chiesto l'assoluzione per insussistenza del fatto, sostenendo che le lesioni riportate dalla moglie sarebbero state la conseguenza di una mera colluttazione.
Dopo la Camera di consiglio, il Tribunale si è pronunciato con una sentenza che accoglie parzialmente le istanze: l'imputato è stato assolto per la tenuità del fatto. Nonostante l'assoluzione dal reato principale per la sua modesta offensività, il Tribunale ha ritenuto di sanzionare economicamente le condotte. L'imputato è stato condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, liquidando una provvisionale di 1.000 euro per ciascuna delle parti (moglie e figlia), oltre al pagamento delle spese del giudizio sostenute dalle parti civili. La quantificazione definitiva del danno dovrà ora essere definita in sede civile.