Si chiude, almeno per ora, la battaglia cautelare intentata dalla Procura di Palermo nei confronti di Sebastiano Bavetta, il gastroenterologo che per primo, il 3 novembre 2020, diagnosticò il carcinoma intestinale all'allora boss latitante Matteo Messina Denaro.
La Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), convinta della gravità degli indizi, aveva chiesto l'arresto del medico con l'ipotesi di reato di favoreggiamento aggravato. Secondo l'accusa, Bavetta sarebbe stato pienamente consapevole dell'identità reale del paziente che stava curando, nonostante questi utilizzasse la falsa identità che gli ha permesso di sfuggire alla cattura per anni.
Il GIP di Palermo, tuttavia, ha smentito questa ricostruzione investigativa. Dopo aver respinto la richiesta di custodia cautelare avanzata dai pubblici ministeri, il giudice per le indagini preliminari (GIP) ha stabilito che non sussistono prove sufficienti a dimostrare che il dottore fosse a conoscenza di avere il padrino tra i suoi pazienti.
Tale orientamento è stato pienamente confermato dal Tribunale del Riesame di Palermo. Quest'ultimo, infatti, ha respinto il ricorso presentato dalla Procura, dando ragione alla linea difensiva sostenuta dagli avvocati Massimo Motisi e Gaetano Di Bartolo. Il rigetto della richiesta di arresto da parte del Riesame, avvenuto a ottobre scorso, pone fine a una sequenza processuale serrata, che ha visto lo scontro sulle misure cautelari consumarsi nel giro di quattro mesi, da luglio a ottobre. Le motivazioni dettagliate che hanno portato i giudici del Riesame a negare la misura restrittiva non sono ancora state depositate.
Nonostante l'indagine per favoreggiamento aggravato rimanga aperta, la magistratura cautelare ha ritenuto insussistente il requisito della consapevolezza, fondamentale per sostenere l'accusa che il medico abbia volontariamente aiutato il boss a proseguire la sua latitanza.