Due dei personaggi coinvolti nell’indagine antimafia “The Witness” (blitz dei carabinieri lo scorso 9 marzo) hanno chiesto al gup di Palermo Nicola Aiello di essere giudicati con rito abbreviato. Sono il 48enne fabbro marsalese Sebastiano Angileri e la moglie Vita Maria Accardi. Angileri, poi scarcerato, è accusato di favoreggiamento.
La moglie, invece, è stata denunciata per intestazione fittizia di beni. Entrambi erano incensurati. Nell’operazione “The Witness”, i carabinieri arrestarono anche il 79enne pastore Antonino Bonafede, che secondo gli inquirenti sarebbe il nuovo “reggente” della famiglia mafiosa marsalese. Nino Bonafede, che in passato ha già scontato una condanna per mafia, avrebbe quindi preso il posto del figlio, Natale, in carcere dal 2003 con una condanna definitiva all’ergastolo. Il 9 marzo furono arrestati anche Martino Pipitone, di 64 anni, ex impiegato di banca in pensione, anch’egli in passato già arrestato per mafia, e il 53enne pastore incensurato Vincenzo Giappone.
A Pipitone furono, poi, concessi i domiciliari. L’indagine è stata coordinata dal procuratore aggiunto della Dda Teresa Principato e dal sostituto Carlo Marzella. Il 28 settembre, il gup Aiello dovrebbe accogliere le due richieste di abbreviato e, dopo le istanze degli avvocati difensori, decidere sulle richieste di rinvio a giudizio avanzate per Bonafede, Giappone e Pipitone.
Secondo l’accusa, Antonino Bonafede, al quale in gennaio sono stati confiscati beni per oltre 4 milioni di euro, assieme a Giappone, “provvedeva alla raccolta del denaro provento di attività illecite, poi conferito al “mandamento mafioso” di Mazara e ai familiari di affiliati detenuti, come Amato Giacomo, uomo d’onore marsalese condannato all’ergastolo”. Giappone sarebbe stato il cassiere della “famiglia” e il “primo collaboratore” di Bonafede senior. Martino Pipitone avrebbe, invece, esercitato la sua “sfera d’influenza nel centro storico”.
P.A.
16/09/2015
{fshare}